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Diciamoci la verità: il Mondiale di calcio del 2026 è già un palcoscenico di tensioni politiche e di esclusioni che raccontano molto di più della competizione sportiva. Con tredici nazionali già qualificate, tra cui l’inaspettato Iran e le tre nazioni ospitanti, Stati Uniti, Messico e Canada, ci si aspetterebbe un’atmosfera di festa. Eppure, il panorama è oscurato da eventi geopolitici e decisioni della FIFA che non possiamo ignorare.
Il contesto geopolitico e le esclusioni scomode
La realtà è meno politically correct: l’esclusione della Russia dal Mondiale 2026 non è solo una questione sportiva, ma un riflesso di un conflitto ben più profondo, quello in Ucraina. La FIFA ha preso una posizione netta, un’azione che ha acceso discussioni sulla politicizzazione dello sport. Ma non è solo la Russia a essere esclusa: anche Congo e Pakistan si trovano nella lista nera, con motivazioni che vanno dalle violazioni dei regolamenti FIFA a problemi interni di governance.
La FIFA ha storicamente messo da parte nazioni coinvolte in guerre o in situazioni di instabilità. Pensiamo, ad esempio, all’Iran, che è già stato escluso in passato a causa del conflitto con l’Iraq. E mentre l’Iraq ha potuto partecipare ai Mondiali, l’Iran è rimasto a guardare. Questa narrativa mette in evidenza come le decisioni sportive possano essere influenzate da fattori esterni, creando un circolo vizioso di esclusioni e sanzioni. Ma ci siamo mai chiesti quanto possa essere giusto tutto ciò?
Le regole di qualificazione: un labirinto burocratico
So che non è popolare dirlo, ma la struttura delle qualificazioni per il Mondiale 2026 è un vero e proprio labirinto burocratico. Le qualificazioni UEFA, ad esempio, mettono in palio 16 posti, ma sono solo una parte di un puzzle molto più grande. La FIFA ha diviso le qualificazioni in fasi, con procedure che sembrano più un gioco di potere tra le federazioni piuttosto che una mera competizione sportiva.
Le qualificazioni CAF e AFC, con le loro complessità, mostrano come il calcio possa essere influenzato da fattori economici e politici. L’Africa avrà 9 posti, con la possibilità di un ulteriore accesso tramite i Play-Off, mentre l’Asia avrà per la prima volta 8 posti diretti. Ma cosa significa davvero tutto questo? Che il calcio diventa un’arma di diplomazia, un modo per cercare di legittimare governi o situazioni, piuttosto che una pura celebrazione sportiva. Siamo davvero pronti ad accettare questa visione distorta del gioco che amiamo?
Conclusione provocatoria: il futuro del calcio è in discussione
Il re è nudo, e ve lo dico io: le esclusioni e le qualificazioni del Mondiale 2026 non sono solo un problema di sport, ma una questione di come la geopolitica si intreccia con il calcio. La FIFA, che dovrebbe essere un ente neutrale, si trova a dover prendere decisioni che hanno ripercussioni ben oltre il campo. Ci ritroveremo a vedere un Mondiale in cui le nazioni partecipanti rappresentano più le alleanze politiche che il merito sportivo? È una domanda legittima.
Invito dunque a un pensiero critico: dobbiamo accettare di vedere il calcio come un riflesso della società, con tutte le sue contraddizioni e ingiustizie. Solo così potremo comprendere davvero il significato delle qualificazioni e delle esclusioni, che vanno ben oltre il semplice risultato di una partita. Riflessioni scomode, ma necessarie, per un futuro migliore nel nostro amato sport.