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È stato presentato a Napoli un libro che promette di emozionare e far riflettere: “Il destino di un bomber”. Scritto dall’ex calciatore Andrea Carnevale insieme a Giuseppe Sansonna, il volume offre uno spaccato della vita di Carnevale, un percorso costellato di sfide, cadute e risalite. Ma non è solo una cronaca della sua carriera calcistica, è anche un racconto profondo e toccante di una vita segnata da eventi drammatici e da un’incredibile forza interiore.
Un’infanzia segnata dal dolore
Andrea Carnevale ha condiviso la sua storia in una recente intervista, in cui ha raccontato un’infanzia che definire difficile è poco. “Ero un orfano di 14 anni”, ha spiegato con una voce che tradiva l’emozione, “mia madre fu assassinata da mio padre”. Un evento tanto atroce quanto inimmaginabile per chiunque. Carnevale ha trovato la madre senza vita, un ricordo che lo perseguita, un dolore mai completamente superato.
Il libro non si limita a raccontare la sua carriera da calciatore, ma si fa portavoce di un messaggio cruciale: “Denunciate!”. Carnevale puntualizza come la paura avesse impedito a sua madre di chiedere aiuto. Ed è proprio questo dolore che si riaccende in lui quando sente di altri eventi tragici, come il caso di Martina, una ragazza di soli 14 anni uccisa ad Afragola. “In lei ho rivisto me stesso da bambino”, confida l’ex calciatore, mettendo a nudo una ferita ancora aperta.
La forza del perdono
Nonostante le esperienze traumatiche, Carnevale ha trovato il modo di elaborare il suo dolore. “Mio padre era geloso, il suo sguardo mi terrorizzava. Volevo capire cosa lo avesse spinto a un gesto così folle”. Questo desiderio di comprensione lo ha portato a visitare il padre in carcere, ma il loro incontro si è concluso in modo tragico, con il padre che si è tolto la vita davanti ai suoi occhi. «Sono passati 50 anni e ancora oggi non riesco a pronunciare la parola ‘mamma’ senza provare dolore», racconta con un’espressione di profonda tristezza.
Un sogno chiamato calcio
Cresciuto in una famiglia numerosa, Carnevale ha dovuto affrontare molte sfide, lavorando in diversi mestieri per sostenere la sua famiglia. “Facevo il muratore, il fabbro, e guadagnavo 15mila lire alla settimana”, ricorda. Ma il sogno del calcio continuava a pulsare dentro di lui. Iniziò a giocare a Monte San Biagio e, nonostante le difficoltà, si definisce “il bambino più felice del mondo”. Il calcio rappresentava per lui una via di fuga, un modo per sentirsi realizzato.
Una carriera tra campioni
Il percorso di Carnevale nel mondo del calcio lo ha portato a giocare con leggende come Maradona e Zico. La vittoria dello scudetto con il Napoli è stata uno dei momenti più alti della sua carriera. “Ero un mulo: correvo e lottavo per i fuoriclasse”, afferma con orgoglio. Il calcio per lui non era solo un gioco, ma un risarcimento personale, un modo per affermarsi in un mondo che lo aveva spesso messo alla prova.
Ombre e redenzione
Tuttavia, la vita di Carnevale non è stata priva di ombre. Ha dovuto affrontare accuse di doping e, nel 2002, di traffico internazionale di droga. “Sono stato assolto dopo 14 anni, ma il marchio era difficile da cancellare. Nessuno mi avrebbe più dato fiducia, tranne l’Udinese”, racconta. Oggi lavora come dirigente per il club friulano, dedicandosi alla scoperta di nuovi talenti.
Il legame con Napoli
Ritornato a Napoli per festeggiare il quarto scudetto della sua ex squadra, Carnevale non ha potuto fare a meno di esprimere il suo attaccamento alla città. “Napoli è parte di me, il momento più bello della mia carriera l’ho vissuto qui”. Ha seguito la parata sul Lungomare in TV, desiderando di essere presente a festeggiare con i tifosi. Il suo legame con la città è profondo, un legame che difficilmente può essere spezzato.
La storia di Andrea Carnevale è un esempio di resilienza e forza, una testimonianza che va oltre il calcio e si insinua nel profondo delle relazioni umane e delle esperienze di vita. In un’epoca in cui spesso si dimenticano le storie dietro ai campioni, il suo racconto ci invita a riflettere e a non dare mai nulla per scontato.